Elena Bartone
Con Francesco, per
sentire la Poesia
di
Bonifacio Vincenzi
“Ho
pochi giorni ancora, poi devo rientrare in ospedale. Sarà quello che sarà.
Attendono altri accertamenti; ma io attendo Lei, meglio attendo Lui. Vorrei che
fosse un incontro tra vecchi amici, amici che non si vedono da molto, da
moltissimo tempo. E pure hanno sempre desiderato di abbracciarsi, contando gli
anni, e le stagioni, e i giorni …”
Così
scrive David Maria Turoldo nel suo ultimo, intenso, bellissimo libro: “Il dramma è Dio.” È il canto ultimo, la
sua morte è imminente ed enorme è il carico di sofferenza che quotidianamente
l’accompagna. Ma Padre Turoldo definisce tutto questo “uno stato di grazia,
forse il mio tempo migliore”. Lui ha sempre colloquiato con Dio, a volte in
modo impetuoso, a volte con tenerezza, come si fa con l’amico del cuore, senza
mai preoccuparsi di nascondere le proprie paure, o la rabbia, o l’angoscia, o la
gioia …
Bene,
il fatto che Elena Bartone abbia scelto una poesia di David Maria Turoldo come
“finestra” da cui affacciarsi allo straordinario mondo di Francesco, nel silenzio, ultima sua raccolta di poesie edita da LietoColle, mi ha fatto molto
riflettere.
La
poetessa ha già, come giustamente sottolinea Martha L. Canfield nella
prefazione al libro, “un punto di riferimento fondamentale, una guida sicura e
amorosa, annunciata fin dal titolo: Francesco d’Assisi.” È con il santo degli
umili che la Bartone dialoga. Perché, allora, ha scelto questa poesia di David
Maria Turoldo, per aprire il suo libro? Una poesia, senza dubbio, molto bella e significativa:
“Io non ho mani / che
mi accarezzino il volto, / (duro è l’ufficio/ di queste parole /che non
conoscono/ amori) /non so le dolcezze /dei vostri abbandoni: /ho dovuto essere /custode
/della vostra solitudine./ Sono /salvatore/ di ore perdute.”
Le
risposte potrebbero essere tante. La povertà come condizione della propria
ricerca spirituale sicuramente li accomuna. C’è una differenza: Francesco ha
scelto la povertà, Padre Turoldo, invece, è nato in una famiglia talmente
povera da indurlo a pregare Dio perché i genitori morissero prematuramente, per
liberarli dalla miseria e dalla sofferenza in cui versavano.
Una
preghiera d’impeto, come spesso gli capitava, a cui non poteva credere
realmente perché lui sapeva bene che l’unica strada per poter “sentire” Dio è
quella in salita, quella in cui la sofferenza la fa da padrona.
Non
so nulla della vita di Elena Bartone. Quello che so di certo è che lei è una
poetessa di talento. La Poesia, quella vera, in questo suo ultimo libro regna
sovrana. E per essere brava come lei lo è, nella vita avrà di sicuro molto
sofferto.
Senza
sofferenza non si può sentire la Poesia, come non si può sentire Dio.
La
sofferenza fa vagare senza meta. E non avendo una meta da seguire tutte le mete sono quelle giuste: “Non ci
saranno direzioni al nostro vagare,/ l’unica direzione sarà Dio.”, canta la
poetessa.
E
dov’è Dio? Di sicuro non può essere fuori
né oltre.
David
Maria Turoldo: “Qualcuno ha interrogato tutte le creature chiedendo se per caso
erano loro il Dio che cercava; ma ognuna di loro aveva risposto che no, non
erano loro il suo Dio. Solo dopo un’affannosa e interminabile ricerca, egli era
giunto a scoprire che il Dio che cercava lo aveva dentro di sé, lo portava nel
fondo della sua coscienza; gli era dentro, « più intimo del suo stesso intimo»”
Elena
Bartone: “Sui monti calabri/ era calato il silenzio./ La sera si annunciava tra
gli abeti./ Cercavo una risposta ai miei perché,/ alle voci che un tempo/
arrivavano da lontano.// Non rincorrevo l’altrove, ma la vita/ nei suoi rivoli di enigmi e sobbalzi/ di felicità.// Rimescolavo le carte dei
giorni,/ ma i conti non tornavano./ Tanto silenzio e nulla più.// In quel silenzio
tutto verde/ho sentito il futuro/ camminare al mio fianco.” (Sui monti calabri)
Padre
Turoldo ed Elena Bartone. Non so se sono io a sbagliare, ma vedo una forte vicinanza
tra loro due. Anche nel modo di far poesia.
Dio
abita dentro e in quel Silenzio colorato di verde. Non sarà il lavoro dello
sguardo né le quattro verità inculcate dalla Ragione, tanto meno una Fede
sempre in lotta con il dubbio, ma quell’attimo di Meraviglia colto sui monti
calabri; dove il grondante e trepido silenzio, per un attimo, ha cancellato
tutto; a far sospirare Dio senza corpo, senza volto.
Sì,
Francesco d’Assisi è una guida sicura. Fa bene la poetessa a rivolgersi a lui per
continuare il suo vagare verso il suo risveglio in Dio. Ma è anche un modo come un altro per richiamare la
Poesia, che non sempre è disponibile a venire. Dio non può essere fuori né oltre perché , per dirla ancora con Padre Turoldo, è “sempre più
simile a noi, all’ultimo di tutti noi: un Dio umile, debole, sperduto,
appassionato e pietoso, venuto a vivere di ogni nostra infermità. Sempre meno
Dio dell’onnipotenza, sempre più Dio della misericordia e del perdono.” E credo
che Elena Bartone questo lo sappia e anche molto bene.